Carlo Mazzone è morto all’età di 86 anni. Lo storico allenatore, personaggio istrionico che ha attraversato oltre 60 anni di calcio italiano, è ancora oggi l’attuale “recordman” di panchine in Serie A con ben 792 partite da tecnico. Inserito nella Hall of Fame del calcio italiano, allenatore di ben 12 diverse square italiane tra il 1969 e il 2006 tra cui Roma, Fiorentina, Napoli e Cagliari. Di lui si ricorda ancora oggi a distanza di circa 20 anni la corsa sotto la curva dell’Atalanta quando guidava il Brescia al termine di un combattutissimo 3-3. Una vita dedicata al calcio: da giocatore delle giovanili della Roma, con cui esordì anche tra i professionisti nel 1959. Nel 1960 il grande amore da calciatore: l’Ascoli, con cui collezionò ben 219 presenze e 11 reti in poco meno di 10 stagioni. Ascoli che diede anche i natali alla scalata da allenatore, con 7 anni tra giovanili e prima squadra tra 1969 e 1975. La sua carriera da allenatore è durata quasi 40 anni, sulle panchine di Ascoli, Fiorentina, Catanzaro, Bologna, Lecce, Pescara, Cagliari, Roma (allenarla fu per lui un sogno realizzato), Napoli, Perugia, Brescia e Livorno, con cui ha stabilito il record di panchine nella storia del calcio italiano, con 1.278 ufficiali. A Carlo Mazzone è intitolata dal 2019 la Tribuna Est dello Stadio Cino e Lillo del Duca della città marchigiana. Da allenatore furono soprattutto due i giocatori a essere da lui più amati: Francesco Totti e Roberto Baggio. Fu fondamentale per lanciare la carriera di Totti: lo allenò per tre anni tra 93 e 96 e in quei tre anni ne limitò l’impatto mediatico, lo istruì in campo e lo aiuto a crescere come persona oltre che come calciatore prendendolo sotto la sua ala protettiva. Per Baggio invece Mazzone fu l’ultimo allenatore prima del ritiro, che gli consentì di brillare al massimo sul tramonto di carriera a Brescia. Il rapporto tra i due è rimasto fortissimo da quel momento.
Il “Sor Magara”, un epiteto inventato per quel suo modo romano di storpiare l’esclamazione, moltiplicandola all’infinito, non è stato soltanto un allenatore di calcio, ma anche, per molti ragazzi che hanno lavorato con lui, un secondo padre. Non a caso, un film dell’ottobre 2022 su di lui era intitolato proprio così, “Come un padre”. Perché tutti conoscono il tecnico, ma pochi hanno conosciuto veramente l’uomo che c’era dietro e quanto sia stato importante per la carriera e la vita di gente come Totti, Baggio, Guardiola (che gli dedicò la vittoria della Champions del 2009), Materazzi, Toni, Pirlo e tanti altri. Di sicuro Mazzone non avrà vinto come altri suoi illustri colleghi, ma ha ottenuto il successo più grande: essere rimasto nel cuore di tutti, gente comune e addetti ai lavori, a prescindere dal tifo e dal colore delle maglie. Baggio nel suo contratto con il Brescia fece mettere una clausola che prevedeva l’interruzione dell’accordo con i lombardi qualora il tecnico romano fosse stato esonerato. E fu un suo gol per il 3-3 nel derby con l’Atalanta a scatenare quella corsa del tecnico furioso, spiegò poi, “per le offese fatte a mia madre, a Roma quelle parole sono una cosa molto grave”. In una scuola, quella italiana degli allenatori, che è una delle migliori del mondo, con gente come Rocco, Trapattoni, Sacchi, Lippi, Capello, Ranieri, Ancelotti, Conte e Allegri, lui “romano de Roma”, e trasteverino, è il simbolo dei tecnici di provincia, termine che non lo hai fatto sentire minore di altri, anzi il contrario perché quell’Italia non da primissima pagina è sempre stata la sua forza. Mazzone lo aveva capito fin da quando era calciatore e la Roma lo mandò ad Ascoli per farsi le ossa” e lui, invece, decise di rimanervi non solo a giocare, ma anche a vivere. E ad Ascoli il suo nome rimarrà per sempre legato, perché fu lui, da allenatore, a regalare la prima storica promozione in Serie A alla squadra marchigiana, una delle prime in Italia a giocare un calcio totale “all’olandese”, come andava di moda in quegli anni ’70. Come presidente aveva Costantino Rozzi, altra indimenticabile icona di un calcio “verace”. In panchina Mazzone era passione e grinta, simbolo di uno sport vero e genuino, senza tanti schemi, ripartenze e alchimie tattiche da “professori”, ma basato principalmente sulla cultura del lavoro, la voglia di andare in campo e di regalare gioia e divertimento ai tifosi.
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