L’Italia manca il Mondiale, la storia si ripete. Alla finalissima di martedì prossimo in Portogallo ci è andata la Macedonia (sconfitta dai lusitani), mentre gli azzurri passano dal trionfo al fallimento nel giro di 8 mesi, ritrovandosi a leccarsi le ferite proprio come quella sera del novembre 2017, quando Ventura fallì la qualificazione contro la Svezia. Questa volta però il disastro, perché di questo si tratta, è ancora più inspiegabile, perché ritrovarsi nella stalla dopo aver dominato le stelle è davvero assurdo.
Per quanto sia facile puntare il dito sul commissario tecnico Roberto Mancini, è giusto dire che le colpe sono soprattutto dei giocatori. Esaltati come fenomeni a luglio, i campioni d’Europa (perché, nonostante tutto, lo siamo) non sono riusciti a smaltire la sbornia, finendo per pagare dazio in un girone che sembrava il trampolino di lancio ideale verso il Qatar e che invece ha qualificato la Svizzera. I nostri guai infatti cominciano molto prima, quando abbiamo perso una partita subendo un solo tiro in porta degno di nota, per giunta in pieno recupero, ed è chiaro che la mente di tutti torna alle due partite con gli svizzeri, specialmente a quella di Roma. All’Olimpico ci sarebbe bastata una vittoria per chiudere il discorso e il match point lo abbiamo avuto, eccome se lo abbiamo avuto: in quel rigore di Jorginho calciato alle stelle c’è tutto il fallimento azzurro, arrivato senza avvisaglie di nessun tipo, e proprio per questo ancora più doloroso.
Per quanto sia evidente che quegli errori hanno cambiato la storia azzurra, va fatta un’analisi a tutto tondo sui problemi del nostro calcio e di una Nazionale piena di buoni giocatori, ma senza fenomeni in grado di guidare gli altri nei momenti difficili. Agli Europei ci siamo arrivati da outsider e questo, molto probabilmente, ci ha permesso di giocare con la mente sgombra e le spalle leggere, dalla prima gara con la Turchia fino alla finalissima di Wembley, dove la pressione, per evidenti motivi, era tutta sull’Inghilterra padrona di casa e a secco di trofei dal 1966. Da settembre in poi però le cose sono cambiate, perché stare sul tetto d’Europa comporta anche degli oneri, a cominciare dal modo in cui gli altri ti affrontano. Bulgaria, Svizzera (due volte), Spagna, Irlanda del Nord, Macedonia: nessuno ha provato il benché minimo timore reverenziale nei nostri confronti. Del resto, eccezion fatta per i plurititolati Chiellini e Bonucci, nessun componente di questa rosa ha mai vinto nulla a parte l’Europeo, il che ha avuto un peso non indifferente. E poi va detto che Mancini è stato anche sfortunato e non solo per gli episodi di cui sopra. Arrivare agli spareggi senza Chiesa (forse l’unico vero campione della squadra), con Chiellini e Bonucci mezzi infortunati, con Donnarumma in crisi (lo si è visto pure sul gol di Trajkovski, su cui poteva fare meglio) e via dicendo non è stato certo il viatico migliore verso il Qatar. La verità è un mix di tutte questa cose, con una sola grande certezza: il nostro campionato non è più allenante a livello internazionale, come del resto si evince dal cammino dei club nelle coppe, limitato alle sole Atalanta e Roma, peraltro in Europa e Conference League, non certo nella Champions. Il risultato è che chi sembra un grande giocatore in Italia, si squaglia clamorosamente non appena il palcoscenico diventa più ampio. E questo, indipendentemente da come andranno le cose, non fa che aumentare il rispetto nei confronti di chi, non più tardi di otto mesi fa, ci ha guidati sul tetto d’Europa.
6 Aprile 2022